di Lapo Sermonti e Riccardo Mastini
Una delle prime proposte portate avanti da Schierarsi è quella del ‘Servizio Ambientale’, e ha l’obiettivo di affrontare le sfide ambientali del nostro Paese dando lavoro a centinaia di migliaia di giovani italiani. È una manovra economica che ha un costo importante, che avrebbe potute essere inclusa nel PNRR, ma che purtroppo il ministro Cingolani non ha avuto la lungimiranza di finanziare, preferendo al suo posto interventi ben meno efficaci. E proprio mentre cercavamo altre soluzioni per finanziarlo sono usciti dettagli sulla versione americana del servizio ambientale confermati dall’American Jobs Plan,dove si prevede la mobilitazione di centinaia di migliaia di giovani: “Questo investimento di 10 miliardi di dollari metterà una nuova, diversificata generazione di americani al lavoro per preservare le nostre terre e acque pubbliche, rafforzando la comunità resiliente e promuovendo la giustizia ambientale attraverso un nuovo Climate Conservation Corps, il tutto mettendo a disposizione di più americani posti di lavoro ben retribuiti”. Anche gli Stati Uniti, allora, lanciano una forma di servizio ambientale, e la cosa più interessante è che lo fanno alzando le tasse sui più ricchi.
Le lezioni della pandemia
In termini di politiche pubbliche, la grande lezione che possiamo trarre dalla pandemia è che quando ci si trova di fronte ad una crisi che mette a rischio il benessere collettivo, sia lo Stato che i cittadini sono pronti ad accettare misure rigide di attenuazione del rischio, a prescindere dall’impatto che esse avranno sull’economia. Abbiamo visto, inoltre, come negli ultimi anni somme straordinarie possano e debbano essere messe a bilancio per affrontare le conseguenze della pandemia. Oltretutto le persone si sono dimostrate capaci di rispettare questi limiti perché quando arriva il momento critico, i cittadini mettono la vita al di sopra del profitto. Nel caso della pandemia il limite stringente era restare a casa e non esercitare la propria professione; nel caso della crisi climatica, invece? Quali siano le azioni che il governo è pronto a mettere in atto? Tristemente, quando si parla di crisi climatica appare illecito mettere in dubbio l’imperativo della crescita dei consumi e del PIL. Si preferisce affidarsi a disperate soluzioni tecnologiche per disaccoppiare l’aumento dei consumi dagli impatti ambientali (come il Carbon capture storage, oppure biodiesel e Biogas che invece portano alla deforestazione). Per me è come se durante la pandemia avessimo continuato ad abbracciarci sperando di separare il contatto fisico dalla trasmissione del virus. Come con la pandemia, è necessario un approccio precauzionale continuando sì ad investire in tecnologia, ma smettendo da subito di inquinare e restaurando immediatamente gli ecosistemi che abbiamo ormai degradato.
Ecologia Popolare
L’emergenza climatica ha segnato il massimo momento di dirigismo istituzionale, e questo è il momento di utilizzarlo per accelerare in direzione della ‘conversione ecologica’. È necessario un nuovo approccio ideologico di ecologia popolare, da contrapporre all’evidentemente insufficiente ‘ecologismo liberista’. Quest’ultimo mette l’enfasi sul comportamento individuale del consumatore, che influenzerebbe il mercato attraverso i suoi acquisti, obbligando i produttori a migliorare i loro prodotti. Questo non solo si è rivelato insufficiente a convertire i sistemi produttivi ancora troppo inquinanti ma ha portato i produttori (come purtroppo molti partiti politici) ad affrontare il tema con una malsana dose di green washing.
L’ecologia popolare si basa invece sul fatto che non esista la giustizia ambientale senza quella sociale ed economica. Il dato più importante si evince da questo rapporto dell’OXFAM: “L’impronta ecologica individuale è fortemente correlata al censo. In Italia per esempio, il 10% dei cittadini più abbienti emette in media 18 TCO2 all’anno, mentre il 40% più povero in media 4 (ovvero meno del 25%)”. D’altro canto vi è un rapporto inversamente proporzionale tra censo e vulnerabilità ai rischi. In altre parole, chi inquina di più è meno esposto alla crisi climatica, e purtroppo viceversa, e il trend continua a peggiorare.
Appare dunque ovvia la necessità di tassare di più la ricchezza per ridurre la sproporzionata impronta ecologica dei più ricchi per finanziare le infrastrutture verdi di cui abbiamo bisogno per mitigare i cambiamenti climatici, e adattarci ad essi qualora gli altri stati non facessero la loro parte. Le finanze pubbliche si sono indebolite in molti paesi a causa della pandemia, e per finanziare queste importanti politiche e promuovere una crescita inclusiva, molti paesi dovranno aumentare le entrate e migliorare l’efficacia della spesa. Lo stato deve investire in attività ad alta intensità di lavoro, da non considerare come sussidi, ma lavoro vero e proprio, difficilmente automatizzabile e soprattutto non delocalizzabile. Il ‘Servizio Ambientale’ è esattamente questo: dare lavoro ai giovani, generando sia la loro coscienza che la conoscenza ambientale, investendo in prevenzione per salvaguardare non solo il loro futuro, ma quello di tutta la popolazione, anche la parte più ricca. Forse non riusciremo mai ad appassionare milioni di italiani ad astrusi modelli climatici, ma sicuramente ci riusciremo con un grande progetto infrastrutturale pubblico e verde. Superando il dissidio storico tra tutela del lavoro e tutela dell’ambiente.
Politiche fiscali
Secondo il Fiscal monitor, il Fondo monetario internazionale ci suggerisce esattamente di andare in questa direzione, ovvero di aumentare la progressività dei prelievi fiscali per compensare almeno in parte l’ulteriore incremento delle diseguaglianze causato dalla pandemia “che ha esasperato dinamiche in atto da tempo come la divaricazione di redditi e ricchezze, mettendo una fortissima pressione sulle finanze pubbliche”.Qui viene il punto importante, secondo le simulazioni un prelievo dell’1% sui patrimoni dell’1% più ricco dei paesi avanzati potrebbe ridurre le diseguaglianze ed accrescere le entrate tra lo 0,4 e lo 0,6% del Prodotto interno lordo. Per l’Italia significa un gettito tra i 6 e i 9 miliardi di euro l’anno. Con questi soldi, potremmo finanziare fino a 600 mila giovani l’anno, mettere in sicurezza (in pochissimo tempo) il nostro territorio, i nostri suoli, e metterci al riparo dal sempre crescente rischio di siccità e andando a risparmiare cifre enormemente superiori per la gestione delle future emergenze (che di questo passo non sono possibili, ma certe). Non pensate ne valga la pena? Bisogna inoltre tassare i beni di lusso che inquinano troppo. Come è possibile che la nafta di uno Yatch abbia lo stesso costo del carburante di una Panda? In un momento di crisi climatica siamo ancora disponibili ad accettare di dover far sacrifici per inquinare meno mentre chi ha di più futilmente inquina più del consentito solo per ostentazione?
Su questi fondi, si potrebbe applicare l’earmaking, ovvero “un accantonamento inserito in un disegno di legge di stanziamenti di spesa discrezionale che indirizza i fondi a un destinatario specifico eludendo il processo di allocazione dei fondi basato sul merito o competitivo”. In altri termini i soldi di una tassa finiscono direttamente a finanziare un’iniziativa, senza passare dal bilancio dello stato. Per esempio, in Costa Rica il fondo nazionale per la protezione forestale (e hanno il 70% del territorio in bosco e il 100% di produzione elettrica da rinnovabile) viene finanziato con gli introiti fiscali sui combustibili delle automobili (il 2%). Oppure numerosi Stati, investono gli introiti delle tasse sulle sigarette direttamente in spese sanitarie e sportive.
Conclusioni
Riassumendo, i redditi più elevati che statisticamente inquinano più di tutti finanzierebbero direttamente il lavoro dei ragazzi del servizio civile ambientale, che in cambio implementano quelle azioni necessarie per attutire gli impatti del clima per tutta la popolazione, che ne pensate?
Infine, bisogna notare che la 52° sessione della Commissione statistica delle Nazioni Unite ha approvato un nuovo sistema di contabilità del prodotto interno lordo (Pil), ovvero il ‘Sistema di contabilità economico-ambientale’, che segnerà un importante passo avanti verso l’integrazione dello sviluppo sostenibile nella pianificazione economica. Il nuovo quadro va oltre la statistica comunemente utilizzata del PIL e garantisce che il capitale naturale – i contributi di foreste, oceani e altri ecosistemi – siano riconosciuti nei rapporti economici. Ecco, proprio per questo il finanziamento del Servizio ambientale non può non essere considerato come un diretto investimento nel nostro futuro e sulla ricchezza nazionale.