Ambiente

La guerra dell’acqua

Pubblicato il 6 Novembre 2023, scritto da schierarsi

Di Benedetto Bruno

Prendere posizione per una causa, specialmente quanto questa concerne questioni di fondamentale importanza, implica assunzioni di responsabilità che non possono esser prese a cuor leggero. Schierarsi è convintamente e a ragione a favore dell’acqua pubblica, e fortemente determinata a promuoverla attraverso azioni concrete. Questa presa di posizione netta, chiara ed irremovibile, affonda le proprie radici nella conoscenza di una tematica insidiosa che va maneggiata con cura. Con l’articolo di oggi sveleremo le esperienze più significative su come si è esplicata l’azione predatoria delle Corporation a livello mondiale, sugli sconvolgimenti socio economici e persino ambientali che hanno lasciato e sulle modalità e sul dispiegamento di forze con cui queste vere “guerre” sommessamente ma inesorabilmente continuano ad esser combattute. La lotta, che solo apparentemente sembra essere impari, presenta però una via di fuga: avere cittadini informati.

La guerra dell’acqua è combattuta a livello planetario da alcuni decenni. É la guerra meno conosciuta e più importante al mondo. Sconvolgimenti climatici, riscaldamento globale ed emergenze idriche sono oramai divenute un dato consolidato che spinge le agenzie di sicurezza di tutte le nazioni a porre come obiettivo primario la difesa delle proprie risorse idriche. Il Pacific Institute fornisce una dettagliata cronologia dei conflitti per l’acqua e ne conta ben 156 solo tra il 2017 e il 2018. Nel 2015 il World Economic Forum indicava come rischio globale più alto per il decennio successivo l’emergenza idrica. L’acqua così passa da questione geopolitica a questione di sicurezza e difesa nazionale, in quanto, non solo il controllo della gestione idrica diventa altamente strategico, ma anche il suo bisogno, attuato attraverso operazioni spesso anche militari di tutela delle fonti idriche nazionali e, al contempo, di accaparramento di quelle dei Paesi limitrofi. 

L’economista e politologo francese Christian Harbulot, direttore e fondatore della Scuola di Guerra Economica Francese e direttore associato di Spin Partners Consulting, società di consulenza specializzata in intelligence economica e lobbying, negli anni 90 scriveva un saggio dal titolo Le guerre segrete della mondializzazione nel quale evidenziava chiaramente come tra le risorse materiali, l’obiettivo della guerra fosse l’acqua. 

Così, dalla pianificazione si passa alla all’azione, e negli anni 90 inizia a livello europeo e mondiale l’attacco all’acqua secondo protocolli militari noti tra gli esperti di intelligence, i cui obiettivi venivano dichiaratipubblicamente, e che prevedono guerre normative finalizzate al conseguimento di una legislazione favorevole per le proprie aziende. Guerre combattute con veri e propri eserciti di avvocati (lobbisti) che quotidianamente presidiano i centri del potere legislativo per condizionare le leggi, affinché queste siano favorevoli agli obiettivi della propria azienda. Intorno agli anni 2000 Veolia riesce ad ottenere in Europa standard legislativi favorevoli al proprio modello economico.

Nel 2009 La Scuola di Guerra Economica Francese pubblicava l’ennesimo rapporto, suggerendo la fusione di Veolia e Suez (i due colossi mondiali della gestione delle risorse idriche) in unico soggetto, al fine di resistere agli attacchi ostili della concorrenza. Fusione che poi avviene nel 2021, dopo varie battaglie legali, e che viene curata dalla società Equanim di cui l’ex segretario del partito democratico Enrico Lettè stato advisor. Nello stesso rapporto viene affermata anche l’importanza di far applicare normative volte a trasformare l’acqua in settore strategico, così da poter usufruire dei fondi messi a disposizione per il settore, come accade oggi con quelli del PNRR. Inoltre, si suggerisce l’agevolazione delle grandi aggregazioni delle gestioni idriche, così da favorire le gestioni private e tagliare fuori dai giochi il pubblico, come accade oggi con l’occupazione delle fontidel centro sud Italia da parte di Suez e Veolia.

Ma come opera sul campo una multinazionale? Mettendo in atto tecniche di intelligence, grazie l’operato di esperti, per lo più ex militari che hanno lasciato l’esercito e vanno ad operare nei cosiddetti servizi di comunicazione interna, ma che in realtà svolgono servizi di disinformazione, condizionamento, influenza culturale, ecc., al fine di far veicolare una narrazione di comodo. Quando le multinazionali entrano in un territorio, non cercano di capire di cosa il territorio ha bisogno, ma cercano di comprendere come poterlo condizionare in funzione delle proprie esigenze produttive. I metodi utilizzati dalle multinazionali per l’accaparramento delle fonti idriche erano in realtà già noti agli esperti da lungo tempo, bastava analizzare cosa era accaduto negli altri Paesi. 

La prima privatizzazione del servizio idrico avviene in Inghilterra nel 1979. Il 79% della popolazione eracontraria, ma il governo privatizza ugualmente. La popolazione è preoccupata che il privato non abbia a cuore le sorti del bene comune acqua, così il governo inglese istituisce OFWATOffice of Water Services, un ente regolatore con il compito di monitorare le attività delle corporation dell’acqua e di proteggere gli interessi dei consumatori. 

Le criticità osservate allora da OFWAT sono le stesse che osserviamo oggigiorno nel centro sud Italia, laddove le corporation d’oltralpe hanno occupato i nostri territori e che possiamo sintetizzare nel taglio della forza lavoro del settore, ricorso alle esternalizzazioni, lavoro sotto retribuito e sotto qualificato, danno alla qualità del servizio, taglio degli investimenti con conseguente aumento delle perdite in rete e minore qualità delle acque, ed infine, eccessivi ed ingiustificati rincari della tariffa a danno della collettività. 

Specificatamente riguardo questo ultimo punto OFWAT aveva rilevato che i costi di investimento delle opere erano gonfiati o che le stesse non erano state realizzate del tutto. Basti pensare che il gap di cui hanno beneficiato le multinazionali per i soli lavori non eseguiti ammontava a circa 4 mld di sterline intascatiinteramente dagli azionisti delle multinazionali sotto forma di dividenti.

In Messico la privatizzazione inizia nel 1992. Delle 233 opere analizzate dalla Commissione Nazionale dell’Acqua CONAGUA, il 94% non disponeva di alcun supporto documentale a garanzia degli investimentieffettuati per la realizzazione delle stesse. Di queste, inoltre, 63 non erano state completate e 37 neanche realizzate sebbene regolarmente pagate. In buona sostanza non veniva data la possibilità all’ente regolatore di svolgere la propria funzione di controllo, ed in questo modo, anche qui, le somme illecitamente intascate erano poi state suddivise tra gli azionisti delle corporation.

Ma se da un lato in Messico le multinazionali si appropriavano dei denari distratti illecitamente alle comunità locali, dall’altro, una moltitudine di aziende ad alto sfruttamento della risorsa idrica come società di imbottigliamento di bibite, tra cui il gigante Coca Cola, ma anche società idroelettriche, delocalizzavano in Messico approfittando della mancanza di una adeguata regolamentazione del settore idrico, sovrasfruttando la preziosa risorsa ed impedendogli di rigenerarsi. 

In Messico negli ultimi 5 anni 122 persone facenti parte dei movimenti a difesa dell’acqua sono state uccise, 139 sono state imprigionate, 163 hanno un mandato di arresto e 270 hanno ceduto alle intimidazioni. Vengono fattipassare per dei delinquenti appartenenti alla criminalità organizzata, sebbene stiano difendendo la loro acqua e nonostante il Messico continui a cedere incomprensibilmente la propria agli USA: uno degli stati più ricchi d’acqua al mondo. 

In Equador le privatizzazioni iniziano nel 1998 e sono sufficienti 10 anni perché il Paese vada in emergenza idrica. Così i movimenti decidono di reagire e nel 2008 viene scritta la costituzione di Montecristo, unanimemente ritenuta bellissima, in quanto conferisce alla natura (Pachamama), la titolare di una serie di dirittiinalienabili: “il diritto al rispetto integrale della sua esistenza e al mantenimento e alla rigenerazione dei suoi cicli vitali, delle sue strutture, delle sue funzioni e dei suoi processi evolutivi”, ed inoltre, assimila l’acqua non semplicemente ad un bene seppure essenziale, ma ne attribuisce anche la caratteristica di patrimonio affinché l’utilizzo venga tutelato a beneficio delle generazioni future. Ma tutto questo non basta, poiché le multinazionali e i governi continuano ad aggirare l’ostacolo e a legiferare in favore delle privatizzazioni.

In Italia la situazione non è meno grave. La corsa alle privatizzazioni iniziata negli anni 90 ha visto portare a compimento tutti i protocolli della Scuola di Guerra Economica Francese e la nuova Veolia ancora continua ad occupare le fonti del centro sud Italia, sebbene sembri che si stia in parte disimpegnando da alcune regioni. Datialla mano la gestione privata ha dato pessimi risultati: servizio insoddisfacente, tariffe elevatissime e investimenti ridotti. Nulla è cambiato che possa rendere credibile la proposta che avanzano i privati. Dalla parte del pubblico rimane il ricordo e l’esperienza della Cassa del Mezzogiorno che, dagli anni Cinquanta, nel Sud ha speso i fondi del Piano Marshall per creare una rete idrica lunga 23.000 chilometri, portando l’acqua in ogni casa e distribuendo benessere.

L’attacco normativo nel Bel Paese, favorito in primis da leggi ossequiose come il Decreto Sblocca Italia, ha reso possibile le grandi aggregazioni imponendo ai Comuni di accorparsi su scala regionale per costituire un Ente d’Ambito, cioè un consorzio obbligatorio attraverso il quale governare il servizio idrico integrato che, considerate le grandi dimensioni dell’organizzazione e le grandi dimensioni dell’area da governare, sono più compatibili con le economie di scala delle multinazionali che con i Comuni. Facendo così divenire le privatizzazioni la conseguenza di una soluzione strutturale creata con le norme istitutive degli Enti d’Ambito; una sorta di via obbligata, di percorso già tracciato. 

Con le aggregazioni dovute alla costituzione degli Enti d’Ambito, le decisioni per la gestione del servizio, per il controllo, per la determinazione delle tariffe e la pianificazione degli investimenti, nonché il reperimento delle risorse, sono assunte da un gruppo ristretto di persone delegate dagli Enti locali. Ogni Comune, in sostanza, sispoglia delle proprie funzioni assegnandole a un ente sovraordinato, restando privo del potere d’incidere direttamente e di risolvere le istanze delle sue comunità. La distanza dai territori di chi ha il compito di decidere determina una condizione d’irresponsabilità politica e, in considerazione di ciò, margini di manovra eccessivi. 

Con la Legge Finanziaria 2018 viene spacchettato il ciclo idrico integrato del solo centro sud Italia dando legittimazione formale all’attacco alle fonti da parte delle lobby. La norma, di coesione sociale, in pieno spirito orwelliano, assegna la titolarità delle fonti (captazione e adduzione) alle Regioni col compito di unirsi e creare un’unica gestione dei grandi impianti del distretto appenninico. Una norma speciale per il Mezzogiorno d’Italia nella quale il ruolo degli Enti locali (Comuni, Provincie e Città Metropolitane) scompare. Gli addutori, i giganteschi tubi che la Cassa del Mezzogiorno ha posato per portare l’acqua dalle fonti alle città, sono già in gran parte nelle mani delle multinazionali. Con la legge di bilancio la parte residua della grande rete viene concentrata e trasferita alle medesime corporation. Questo non prima di aver affidato agli stessi soggetti il compito di ristrutturarle con alcuni miliardi di euro da drenare dai cittadini in tariffa. Una prima grande occasione di speculazione. 

Ma vi è di più! La Legge di bilancio 2018 vuole annullare gli effetti della sentenza della Corte costituzionale 117/15 laddove ha affermato un limite invalicabile per le Regioni: fino alla nuova norma, le Regioni non potevano governare e gestire direttamente o a mezzo di proprie aziende le fonti d’acqua. La titolarità del diritto era esclusivamente in capo agli enti locali, quindi alle comunità. Con la norma recente il sistema viene stravolto limitatamente al Centro Sud Italia: gli enti locali, quindi le comunità, sono tagliati fuori dalla gestione delle fonti, le Regioni assumono la funzione di mediatori verso l’assegnazione di tutta l’acqua alle multinazionali. 

La tecnica del legislatore nazionale e regionale è sempre uguale nel tempo. Le lobby procedono nei percorsi di accaparramento e il legislatore ratifica passo dopo passo le fasi di avanzamento del piano industriale. Se trovano ostacoli, li eliminano con nuove leggi anche forzando i limiti posti dalla Costituzione. Ogni passo viene giustificato alla collettività come operazione vantaggiosa o mascherata con argomenti che distraggono. Inducendo i cittadini a guardare il particolare, non consentono mai di avere la visione complessiva del progetto fino al completamento, laddove sarà difficilissimo invertire la tendenza. 

Con l’art. 24 del Decreto Crescita, viene realizzata la più grande privatizzazione d’Europa. L’EIPLI, l’Ente per lo Sviluppo dell’Irrigazione e la Trasformazione Fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia, inaugurato nel 1947 dall’allora Capo Provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, per sviluppare invasi, opere di captazione di sorgentie centinaia di chilometri di reti di adduzione interregionali, dopo un commissariamento durato 40 anni viene trasformato in SpA. Il processo di depredazione dell’ente comincia dai primi anni Novanta. Con la Finanziaria 2007 il governo Prodi decide che il ministero delle politiche agricole, d’intesa con le regioni, dovrà avviare la procedura per la trasformazione dell’EIPLI in società per azioni. Nel 2011 Mario Monti stabilisce la definitiva soppressione dichiarandolo ente inutile. Nel 2018 il governo Gentiloni ribadisce il trasferimento delle funzioni alla SpA da costituire da parte del ministero dell’economia. Si arriva quindi al governo gialloverde che trasforma l’ente in SpA. Federica Daga, la deputata del M5S firmataria dell’emendamento al decreto Crescita sull’EIPLI, annuncia con soddisfazione: “Vietiamo esplicitamente che si possano cedere a soggetti privati quote di partecipazione della nuova società per azioni, mantenendo la proprietà nelle mani del ministero dell’economia e delle regioni interessate”. In realtà, se si sarebbe voluto schermare l’ente dalle acquisizioni dei privati, sarebbe bastato farlo rimanere ente di diritto pubblico. Con la trasformazione in SpA viene stravolta la finalità pubblica dell’ente e vengono di fatto poste le condizioni per una futura acquisizione da parte delle corporation.

Il Decreto Concorrenza imposto dalla Commissione europea per l’erogazione dei fondi del PNRR ha la finalità esplicita di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, ma l’art. 6 di questo provvedimento punta a chiudere il cerchio sul definitivo affidamento al mercato dei servizi essenziali rendendo residuale la loro gestione pubblica, per cui gli Enti Locali che opteranno per tale scelta dovranno giustificare il mancato ricorso al mercato. Nel DDL emerge chiaramente la scelta della privatizzazione e risulta ispirato da un’evidente ideologia neoliberista in cui la supremazia del mercato diviene dogma inconfutabile. Inoltre, si prevedono incentivi per favorire le aggregazioni indicando così chiaramente che il modello prescelto è quello delle grandi società multiservizi quotate in Borsa che diventeranno i soggetti monopolisti a tempo indefinito.

In conclusione, spetta ora a noi il compito di analizzare il quadro normativo all’interno del quale queste corporation si sono mosse in giro per il mondo e in Italia, come gli stati si siano poi organizzati a livello normativo e politico per chiudere le maglie all’azione predatoria delle multinazionali. Se le multinazionali impiegano tanto denaro, tanta attenzione e dispendio di energie per la “comunicazione” sui territori è perché esse sono assolutamente consapevoli che il potere è in mano ai cittadini: ora spetta a noi divenirne consapevoli.

Con il nostro prossimo articolo vi diremo come Schierarsi intende affrontare la questione dell’acqua pubblica in Italia.


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