Giovani

Disagio psicologico e solitudine di massa, emergenze nascoste da affrontare con scelte radicali – di Alessio Mannino

Pubblicato il 4 Settembre 2024, scritto da schierarsi

“L’esclusione dall’amore è una condizione che riguarda un numero crescente di persone di cui, però, non si parla mai. Perché sono vite che hanno ben poco di romanzesco, in cui non succedente niente. È una delle manifestazioni del processo di atomizzazione in cui viviamo”. Francesco Targhetta, scrittore 

Una silenziosa metastasi si diffonde tra selfie ossessivi e app d’incontri: la solitudine di massa. L’isolamento imprigiona in bolle individuali che prosciugano la voglia di vivere. Scava sotto la superficie di un’apparente normalità, dietro cui si celano consumismo emotivo, povertà affettiva, sradicamento sociale. Trasversale per età, reddito e ceto, la solitudine pesa di più su chi ha minori disponibilità economiche. Così, da fatto individuale diventa fenomeno politico, di cui dovrebbe farsi carico una politica degna di questo nome. La Gran Bretagna, che se n’è accorta per prima, ha scoperto che su quasi 67 milioni di abitanti ben 9 milioni si sentono isolati, e il 17 gennaio 2018 ha istituito il Ministero della Solitudine. Negli Stati Uniti, dove un quarto degli adulti non è sposato, il presidente dell’American Enterprise Institute, Arthur C. Brooks, scriveva nel 2018 sul New York Times che “l’America sta soffrendo di un’epidemia di solitudine”. In Spagna, l’Istituto Nazionale di Statistica ha rilevato che nel 2016 più di quattro milioni e mezzo di spagnoli vivevano da soli, la maggior parte dei quali sotto i 65 anni. 

Secondo l’Istat, in Italia il 2022 è stato un anno spartiacque: i single hanno superato le famiglie, 33,2% contro 31,2%. I vedovi o separati (famiglie unipersonali) nel 2011 rappresentavano già un terzo del totale dei nuclei familiari: nel 1971, erano il 12,9%. In totale, oggi in Italia 8 milioni e 365 mila persone vivono sole. Un numero, complice l’invecchiamento demografico, destinato a crescere. Le aree più colpite dal moderno eremitaggio sono, secondo l’ultima indagine del Sole 24 Ore, Trieste, Aosta e parte della Liguria (per l’anzianità della popolazione), subito dopo Bologna, Milano e Roma, in cui i solitari raggiungono quota 43%. Nel 2017, un rapporto Eurostat segnalava che gli italiani che non sapevano a chi chiedere aiuto in caso di bisogno erano più che raddoppiati rispetto alla media dei 28 Stati esaminati (13% contro 6%). Eppure, stando a un’analisi Istat del 2020, nella fascia tra i 18 e i 49 anni soltanto 500 mila erano coloro che non inserivano la paternità o maternità nel proprio progetto esistenziale (anzi, il 46% vorrebbe non meno di due figli). “L’impressione di fondo”, commentavano gli autori del dossier, “è che il nostro Paese non riesca a pensare al suo futuro, ad assecondare un desiderio visibile nella società che può realizzarsi solamente rimuovendo tutti quegli ostacoli che hanno impedito in questi anni, a uomini e donne, di costruire la propria indipendenza, di avere i figli che volevano e di tradurre in realtà un loro desiderio”. 

Una frustrazione esacerbata dalla tempesta raggelante del Covid. Le pause forzate rappresentate dalle quarantene hanno certamente, da un lato, fatto riscoprire il gusto di riappropriarsi di ritmi più lenti, influendo sulle massicce dimissioni dai posti di lavoro e sul rifiuto di accettare occupazioni con orari penalizzanti per la vita privata. Ma hanno anche accelerato il processo di colonizzazione del tempo libero da parte dei social network e, più in generale, dall’iperconnessione in Rete. Navigando, chattando, videochiamando, guardando streaming, acquistando online, si ammazza il tempo. Ma si ammazza anche la vita sociale, quella faccia a faccia. Con il risultato inquietante che il trascorrere ore davanti allo schermo sottrae attenzione e interesse per l’esperienza vissuta. Fino a giungere al paradosso per cui guai a perdersi l’ultimo idilliaco quadretto postato sul profilo da persone che nemmeno si conoscono, mentre ci si ricorda a stento il nome del proprio vicino di casa.  

A preoccupare sono soprattutto i ragazzi. Un rapporto elaborato da Telefono Azzurro nel febbraio 2023 (“Tra realtà e Metaverso. Adolescenti e genitori nel mondo digitale”) riferisce che, fra i 12 e i 18 anni, il 50% di loro passa sui social dalle due alle tre ore al giorno, mentre il 14% dalle quattro alle sei ore. Il 35% non riesce ad addormentarsi normalmente, e il 22% dichiara che si sentirebbe “perso” senza la dose giornaliera di onlife. Il punto non è tanto la percentuale dei sentimenti ansiosi, ma l’aumento tendenziale: più dieci per cento nell’arco di cinque anni. Una significativa minoranza, che va dal 12 al 24%, prova solitudine, invidia, senso di inadeguatezza. Molto più veloci delle generazioni precedenti nell’immagazzinare informazioni, gli adolescenti hanno però una soglia di attenzione più bassa, e sono più deboli nella capacità di concentrarsi. Senza contare i danni alla salute derivanti dalla sedentarietà, che spesso si accompagna all’auto-recludersi in casa (nei casi estremi, fino al noto fenomeno degli hikkikomori, i segregati volontari in contatto puramente virtuale con il mondo esterno). L’aumento dell’obesità, altro killer silenzioso in un Occidente ingozzato a zuccheri e ossessionato dal cibo, viene anche da qui. 

Mentre Google, Meta, TikTok, Amazon e gli altri oligopolisti s’ingrassano, l’affaccendarsi in Rete non colma la mancanza d’intimità, che in tanti cercano di riempire con le applicazioni di dating. Secondo una stima di qualche anno fa, 9 milioni di italiani sarebbero ricorsi a Tinder, Meetic o Grindr per avere uno straccio di appuntamento, o più comunemente per soddisfare la voglia sessuale. Tuttavia oggi, a quanto pare, i ragazzi della Generazione Z (i nati fra il 1997 e il 2012) starebbero abbandonando l’uso compulsivo di questi strumenti. Ma non per tornare alla fisicità del vis-à-vis: per paura del rifiuto. “Scartata anche l’opzione dell’online, per i giovanissimi sembrano restare solo due opzioni: la solitudine o il metaverso”1. O il cybersex (la masturbazione davanti al pc o col telefonino, su siti pornografici) e, vero business dell’industria del porno, il sexting (incontri a distanza su pagamento, come nelle videochat su OnlyFans). Comprensibili ma, a conti fatti, invalidanti strategie di sopravvivenza, che in grandissima riguardano parte i maschi. Negli anni è fiorita un’ampia letteratura di studi sulla sex addiction, la dipendenza dalla tecnologia in sostituzione di rapporti sessuali veri. Tutti convergono nella tesi che siamo di fronte a una fuga dalle relazioni, dovuta a un’ansia di prestazione intensificatasi a causa della mentalità prevalente. L’ideologia dominante, infatti, spinge a misurare affetti e sessualità in termini di efficienza, calcolo, rapidità: “investimento emotivo”, “capitale relazionale”, “performance” formano un dispositivo di obblighi sociali a cui la psiche può reagire con l’auto-inibizione e il ripiegamento solitario. La psicoterapeuta Silvia De Napoli, autrice di uno studio specifico (“La solitudine, fonte di benessere ma di altrettanta patologia”, State of Mind, 2019), spiega il vuoto affettivo con l’idea egemone del “fare prestazionale”, il “bisogno indotto di dover riuscire per forza”. La relazione sana, al contrario, è “saper stare assieme senza obbligo di fare nulla, ma con l’impegno di prendersi cura dell’altro”. 

Le nevrosi fanno la felicità delle case farmaceutiche: nel 2019, secondo l’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), il 10% della popolazione faceva largo uso di ansiolitici a base di benzodiazepina. Una “droga legale” che ha conosciuto un vero boom negli ultimi anni. Ma attenzione: stando a un recente rapporto2, l’aumento degli antidepressivi non è giustificato da un parallelo aumento della depressione. Delle 36,5 milioni di confezioni di psicofarmaci vendute in Italia nel 2020 (Eurispes 2021), solo 565 mila sono state prescritte da strutture ospedaliere o dai Centri di Salute Mentale (CSM). Significa che, al netto dei pazienti in cura da terapeuti privati, c’è una massa enorme di infelici che ricorrendo al medico di base tentano di rattoppare con gocce o pillole i propri buchi interiori. 

Il progressivo diradarsi delle relazioni di prossimità, causato dal micidiale mix di ritmi frenetici e aspettative irreali, ha dato una bella spinta all’alienazione, psicopatologia dell’uomo contemporaneo. La cura si ha nel legame affettivo, nell’empatia, nella socialità, nella gratuità. In una parola: nella comunità, familiare, locale e civica. E politica. L’etimologia di “polis”, città, rimanda alla moltitudine, alla dimensione plurale. Nonostante la “solitudine endemica” del modo di vivere capitalistico (“strutturale”,  secondo la definizione di una studiosa inglese3), l’uomo resta, per fortuna, un animale sociale, un animale politico. Una stretta di mano, un abbraccio, una passione o un gioco condiviso, una conversazione, un progetto, una lotta comune: questi, sono i veri antidoti alla quieta disperazione del presente. In fondo, è la perdita di fiducia in sé stessi che va pazientemente ricucita e sanata. Missione impossibile nei soggetti con maggior difficoltà, se privi di un supporto terapeutico. Il Servizio Sanitario Nazionale non è neppure lontanamente in grado di far fronte alla domanda di assistenza di persone con disturbi, o che hanno bisogno di essere seguite e rimesse in piedi. Con appena il 3% del budget sanitario dedicato alle cure psicologiche (dati 2020), l’assistenza pubblica è assolutamente insufficiente, e questo è un dramma per coloro che non possono permettersi le tariffe da 70-80 euro all’ora di uno psicologo privato (che schizzano fino a 120 euro e oltre presso gli psichiatri). A parte le gravi patologie, è il filo rosso della solitudine a contrassegnare il balzo in avanti dei disturbi: “Non ho nessuno con cui parlare”, è il mantra di chi bussa alle porte dei centri. 

Il tanto strombazzato “bonus psicologo” ben riassume il lato grottesco del problema: dapprima escluso dalla finanziaria 2021, poi inserito nel Decreto Milleproroghe del 2022, è consistito inizialmente in un contributo di massimo 600 euro per possessori di Isee inferiori a 50 mila euro. Quel primo anno, a richiederlo furono 394 mila persone, in maggioranza donne sotto i 35 anni. Nel 2023 il tetto è salito a 1500 euro a testa, ma lo stanziamento complessivo è stato drasticamente tagliato: da 25 milioni a 5 milioni, per poi risalire oggi a 10. Comunque una miseria. Perché non bisogna sottovalutare il fatto che il disagio psichico è in diretta correlazione con il disagio economico e sociale. Un conto è avere le spalle coperte, con un reddito decente o accudito da una famiglia comprensiva grazie alla quale far fronte alle spese mediche. Un altro è far parte della fascia dei lavoratori poveri, se non dei poveri assoluti, o avere la sfortuna di vivere in un ambiente tossico. Avverte Gisella Trincas, presidente dell’Unione Nazionale Associazioni Salute Mentale (UNASAM): “Quando ti occupi di salute mentale ti occupi anche di povertà, di esclusione, di prepotenze, di soprusi”4.

Il giornalista Mattia Ferraresi ha opportunamente scritto che la “natura paradossale della solitudine odierna” consiste nell’essere “figlia legittima di una precisa – e prevalente – concezione della libertà”5. È la falsa libertà dell’individualismo liberal-liberista, che illude di potere far a meno di tutto tranne che dell’unica dotazione che non può mancare, pena la rovina materiale ed esistenziale: il denaro. In altre parole, la questione, qui, è il nostro modello di vita: scintillante fuori, marcio dentro. Ricco è chi può permettersi i mezzi e il tempo per gli affetti, per i propri cari, per la convivialità, l’amicizia, il sesso, l’amore, i figli. E anche, non ultimi, per la comunità e l’impegno pubblico. Attività non tutte funzionali sul piano economico, ma nelle quali c’è l’essenza della vita. E tutti ambiti che la solitudine desertifica, rinsecchisce, stronca. È un tumore che va affrontato: c’è un pezzo d’Italia disadattata che non gode, come da Costituzione, di “un’esistenza libera e dignitosa”. 

A questa emergenza nazionale occorre dare risposte. Eccone alcune possibili. 

  1. Cominciare a immaginare un servizio psicologico pubblico capillare e dotato di un finanziamento adeguato (attualmente, al testo di legge unificato sullo “psicologo di base” fermo in parlamento, corrisponde uno stanziamento del Ministero della Salute per il 2025 di appena 25/30 milioni di euro, cifra  almeno dieci volte inferiore a quanto sarebbe necessario per coprire le 6-7 mila convenzioni previste). Non si vuol capire che la cura della psiche, al pari delle malattie fisiche, dovrebbe essere una priorità. In modo, fra l’altro, da valorizzare gli psicologi, sottopagati nel pubblico e precari nel privato. Per farlo, si potrebbe coinvolgere nella progettazione chi lavora nel settore e ha il polso della situazione: dall’Ordine degli Psicologi alle società psicanalitiche. Con l’obiettivo, inoltre, di superare l’assurdo stigma che ancora subisce o introietta chi soffre di psicopatologie (benché il diffondersi di terapie online può essere il segnale che, su questo, sta nascendo una diversa consapevolezza). 
  1. Prospettare interventi politici coraggiosi, che fissino limiti per contrastare l’abuso di virtualità da parte dei minori (a scuola, ad esempio, il telefono cellulare andrebbe sempre requisito all’ingresso e restituito all’uscita, fine), ma anche paletti più stringenti sullo smart working (che nonostante gli indubbi vantaggi genera isolamento, separando chi lavora l’uno dall’altro con la segregazione nella celletta domestica, contribuendo alla solitudine generale). 

3) Promuovere una visione del mondo più vitale (comunitaria, partecipativa, volontaristica) e uno stile di vita più naturale (lavorare meno, vivere più il corpo, socializzare di più), superando l’ambito strettamente medicale. Il che, nell’immediato, significa sostenere ogni salutare sintomo di reattività alla disgregazione sociale (dalla banche del tempo ai gruppi di acquisto solidale). E, soprattutto, vuol dire organizzare pratiche collettive che abbiano come parte decisiva ed esito finale l’azione comune in presenza. Anche ispirandosi a esperimenti in contro-tendenza già in atto. Come, per fare solo un esempio, i Luddite Club qualche anno fa sorti a New York: gruppi spontanei di giovanissimi che nei loro incontri, per ritrovare un po’ di ecologia mentale e ritrovare il gusto di stare insieme per davvero, bandiscono gli smartphone. Oppure, dare visibilità a sperimentazioni dal basso come le Social Street, idea tutta italiana nata a Bologna, che dal 2013 si dà da fare per trasformare il buon vicinato in “un facilitatore del passaggio dal virtuale al reale”, come si legge sul sito degli organizzatori6

4) Attraverso messaggi di responsabilizzazione – ad esempio, facendo riscoprire la bellezza della fatica e dell’impegno per obiettivi comuni, come possono essere quelli di un’associazione – lavorare sull’immaginario diffuso, per accorciare i tempi di transizione all’età adulta dei giovani, iper-protetti da genitori ansiosi. Senza dimenticare un problema direttamente connesso all’“eterna adolescenza”, ovvero il calo della natalità. Priorità, queste, attuabili attraverso una politica sociale che metta fine alla precarietà contrattuale sul lavoro e obblighi a un compenso minimo adeguato (salario minimo), per rimettere così in circolo le energie. 

In sintesi, e consapevoli di ragionare a lungo termine, c’è urgente bisogno di porre in primo piano l’esistenza concreta dei singoli. Cioè la vita. La vita vera. Con i suoi aspetti di stress, con le legittime aspirazioni di ognuno, e con il vissuto reale – e non meramente statistico – di donne e uomini in carne e ossa. Scriveva Albert Camus: “Ho letto di recente che sarei un solitario. Forse, ma lo sono come milioni di uomini che reputo mio fratelli e al cui fianco cammino”.

  1. Francesco Sbandi, “I giovani abbandonano le app di dating, ma non tornano alle conquiste dal vivo: la ragione è un’altra”, ilfattoquotidiano.it, 9 aprile 2024. In generale, sui problemi relativi alla dipendenza da smartphone di adolescenti e giovani, si legga Jean M. Twenge, “Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti”, Einaudi, 2018, Torino. 
  2. Rapporto OsMed (Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali), anno 2022 https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1967301/Rapporto-OsMed-2022.pdf
  3. Noreena Hertz, “Il secolo della solitudine. L’importanza della comunità nell’economia e nella vita di tutti i giorni”, Il Saggiatore, 2021. 
  4. Cit. in Jessica Marianna Masucci, “Il fronte psichico. Inchiesta sulla salute mentale degli italiani”, Nottetempo, 2023, Milano, p. 32. 
  5. Mattia Ferraresi, “Solitudine. Il male oscuro delle società occidentali”, Einaudi, 2020.
  6. http://www.socialstreet.it/ 

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